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È morto a 84 anni Lucian Pintilie, massimo regista romeno e presenza costante alla Mostra Internazionale del Nuovo Cinema fin dal suo esordio, Domenica alle sei, presentato alla prima edizione del 1965. Poi via via negli anni sono stati proiettati altri suoi film fino alla retrospettiva completa del 2004 con la pubblicazione del volume monografico Lucian Pintilie – Guardare in faccia il male a cura di Silvana Silvestri e Giovanni Spagnoletti (Revolver, 130 pagine).
Qui di seguito il testo introduttivo al volume di Silvana Silvestri:
PINTILIE, LE NUOVE MAPPE PER L’INFERNO
Lucian Pintilie si è posato come un gigante sulle coscienze intorpidite degli spettatori di fine secolo. Ignari per lo più – parliamo dell’Italia – di quanto accadeva all’est con una strategica cancellazione di tipo culturale oltre che di mercato, è stato più volte accolto trionfalmente da Cannes, grande madre dell’esilio. Esordiente del cinema rumeno degli anni sessanta, spavalda e variegata cinematografia bloccata sul nascere, le sue tracce si erano confuse poi con il cinema jugoslavo, per tornare sui nostri schermi con due suoi film degli anni Novanta: Un’estate indimenticabile (Un été inoubliable, 1994) e Terminus Paradis (1998) ovvero la storia e la contemporaneità, la classe e la cronaca dal disastro.
I premi e i riconoscimenti al suo cinema li aveva ricevuti fin dai suoi primi lavori, Duminica la ora 6 (1965), e poi Reconstituirea (1968) film prigioniero, carriera folgorante, resa bruciante dalla sua assenza prolungata dagli schermi, un percorso simile in questo ad altri grandi dell’est – Menzel, Chytilova, Schorm, Gaal, Muratova, Daneliuc (per restare in Romania) – amarezze di gradazioni diverse.
La chance della produzione occidentale fa rifiorire un linguaggio già perfettamente maturo, come se nulla fosse accaduto nel frattempo. Pintilie riprende con il cinema dal punto in cui aveva lasciato, senza restare in silenzio nel frattempo, in un cupo isolamento, ma ricominciando in Francia una splendida carriera teatrale che aveva già iniziato con successo in Romania. Per farlo non si lascia neanche tentare da ambientazioni parigine, dalle candide assurdità del mondo occidentale (come Ioseliani). Aveva lasciato un discorso aperto con alcuni giovani della società socialista, pure se la sua ambientazione era collocata in un’epoca abbastanza misteriosa, poi fa irrompere decisamente la massa ottusa che non si rende conto neanche di quello che succede, finale tragico di una semplice “ricostruzione” da riprendere con la cinepresa a scopo educativo, mentre le autorità mettono in scena il loro show quotidiano e i due giovani – il futuro della nazione – imparano malvolentieri a simulare. La radiolina a transistor, feticcio di tutti i giovani europei degli anni Sessanta è arrivata anche in quella sperduta località, simulacro di modernità e divertimento. Ma tutto precipita, la ricostruzione di una semplice rissa non è servita a niente, quando della morte accidentale nessuno conserverà neanche il ricordo.
L’agghiacciante humour rumeno applicato a Reconstituirea ci dice di un punto finale, film conclusivo di una prima parte della sua carriera di cineasta (ma in ogni suo film c’è una morte violenta a scandire le vie del caso).
Rigogliosamente ripropone senza mezzi termini (De ce trag clopotele, Mitica?, 1981) il gigantesco carnevale da Caragiale, un carnevale si direbbe quotidiano, poiché la festa non aggiunge che la musica alla mascherata di ogni giorno, dove nessuno può sapere veramente chi è l’altro. Sembrerebbe una beffarda risposta e lo è, parla di una società piena di prosopopea senza averne i mezzi, un intreccio frastornante di piccoli uomini in perenne movimento senza scopo apparente.
Dal fondo di una cava, come dalla tromba dell’ascensore o dalle viscere della terra in miniera, non c’è cavità oscura, tunnel da talpa, cunicolo cimiteriale, oscura profondità dell’animo che Pintilie non accenda di una improvvisa luce con battaglia delle immagini. In Mitica l’incipit agghiacciante, poi in Le Chêne (1992), l’inferno vero e proprio con i suoi gironi labirintici. Impossibile uscire dall’inferno, anche con passaporto e tutto, perfino in Prea Tardziu (1996) dove si moltiplicano le morti e i cunicoli oscuri e dove si direbbe che così come rifiutava il discorso traslato ed era diretto fino alla rissa in tempi di dittatura, sia diventato fortemente allusivo all’epoca della democrazia.
C’è un moltiplicarsi della genialità, film dopo film, una indomita risposta sempre più precisa nei confronti di un regime – ci assicuravano altri cineasti rumeni– del tutto incomprensibile per noi occidentali (di comunista solo il nome e la degenerazione) . Le Chêne varcata la soglia del regime è un delirio di dolore mai visto al cinema, dove la sofferenza si nutre di se stessa per scoppiare in sfrontata vitalità. I due protagonisti, la donna e il dottore non si arrendono mai e poi mai a dispetto di qualunque bruttura e sgradevolezza senza scampo. L’affondare sempre più nel disastro, dice Pintilie, diventa come un’abitudine. «Non potrete mai capire cosa succede da noi» è una frase che non possiamo dimenticare. Intenti a decodificare metafore non avremmo neanche voluto capire fino in fondo, uscire dall’armonia perfetta della creazione artistica, ma lasciare che le zone oscure restassero tali. Quando il nemico principale è sconfitto, potrebbe rimettere la spada nel fodero, ma ecco che diventa più duro, non riconciliato. Non bisogna lasciarsi fuorviare dai racconti di Un’estate indimenticabile tanto dolce quanto sanguinario, primo film offerto al delicato pubblico italiano, ignaro di cose rumene che non fossero gli orrori di Ceaucescu visti in tv e nonostante il fortissimo legame linguistico e storico che lega i due paesi. Vogliamo vedere tutta la sua opera come un riscatto anche per altri destini spezzati, e certo non era questo lo scopo del regista che probabilmente disprezza i risvolti psicologici del mondo reale, un riscatto all’amarezza di artisti meno allenati alla lotta dura.
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