Nostra Signora dei Turchi Un (as)salto all’Inferno

Le undici ore e mezza di girato di Nostra Signora dei Turchi non sono Nostra Signora dei Turchi: sono in bianco e nero, controtipo (negativo ricavato da positivo) stampato per le lavorazioni, depotenziate dai colori caleidoscopici della pellicola Ektachrome; sono mute, senza la stratificazione sonora e quella voce che tutto disdice. Del film non sono neanche un’eco lontana, le rushes appaiono fragili frammenti elettrici sospesi, come in attesa che la furia iconoclasta del montaggio, o più precisamente smontag- gio, di Carmelo Bene le scateni donandogli potenza.

Senza affidarsi a un metodo né a una scuola, solo con l’esperienza e la fantasia di Mario Masini a supportarlo, Carmelo Bene non sceglie, intorno alla data mitica e fatidica del ’68, di fare cinema ma di farsi cinema, o meglio di disfarsi del cinema praticandolo. Tutto brucia, si allaga, si rompe, persino il cielo traballa e il corpo di CB è lanciato à corps perdu in quel Sud dei santi sospeso in uno spazio suo, fuori dal tempo. Non ci sono Nouvelle Vague né New American Cinema, non c’è nessuna riflessione sulle storie del cinema e le sue tecniche, non ci sono gli incontri e le proteste degli “arrabbiati” che si interrogano su come si possa piegare il cinema alla mutazione e spiegarlo alle masse. Tra ossa di martiri e piazze in festa, tra una santa e una serva, il corpo onnipresente di Carmelo Bene cerca il proprio martirio impossibile e si distrugge proprio mentre demolisce ogni cliché, ogni rappresentazione per farsi presenza di un’assenza e il suo contrario.

Mentre in tanti si immaginano intenti all’assalto del cielo Carmelo Bene fa un salto all’inferno, cerca le bassezze (l’alto è lui), si perde in antri infuocati, dissacra il cinema e massacra l’io. Per lievitare bisogna essere idioti e illetterati come Giuseppe Desa da Copertino, al contrario Bene è colto e lucido, sente i “turchi” alle porte, vede l’imminente ecatombe.

È una visione unica, eccentrica intorno al suo nonautore; una visione critica [critica come gioco d’az- zardo dell’opera sull’opera, scriverà ne L’orecchio mancante] quanto distante dalle cronache: è uno scontro contro tutti. La distruzione è necessaria ma bisogna prima distruggere il proprio io, tutto il resto è reiterazione.

Catalogare o suddividere i materiali di lavorazione di Nostra Signora dei Turchi è cosa molto difficile (ma anche non necessaria): la questione non è se la ripresa è venuta bene o male, che funzioni o meno, ogni sequenza possiede una sua forza e può dare il suo contributo all’opera di demolizione, e infatti quasi tutte rientreranno in parte o per intero nel film e i ciak ripetuti identici sono pochissimi.

Le rushes, rinvenute tra i materiali della Microstampa depositati presso la Cineteca Nazionale, sono un documento di questo processo distruttivo, con il loro grigio silenzio e la durata espansa dei ciak ci per- mettono di scorgerlo, ci concedono di soffermarci sull’atto geniale di Bene, cosa impossibile di fronte ai suoi film che continuano a lasciare tramortito e senza fiato chi ci si accosta.

Post correlati

In questa sezione

FACEBOOK

TWITTER

Ultime News

Comunicati stampa

Rimaniamo in contatto

Resta aggiornato su tutte le iniziative del Pesaro Film Festival

SPONSOR

)